Lo scrittore russo Mikhail Shishkin, in Romania
Mikhail Shishkin è conosciuto ai lettori romeni soprattutto per i libri "Capelvenere" o "Punto di fuga", che non sono in vendita nelle librerie della Russia.
Justina Bandol Жустина Бандол e Татьяна Кодреану, 18.10.2025, 07:00
Dal 25 al 28 settembre la città di Brașov è stata particolarmente animata, perché ha ospitato la prima edizione di un nuovo e ambizioso festival letterario intitolato suggestivamente NOD. Definito “festival dei diritti nel campo della letteratura”, NOD ha visto partecipare professionisti dell’arte scritta e dell’industria del libro – editori, scrittori, agenti letterari, traduttori –, invitati a partecipare a dibattiti, spesso davanti al pubblico. Il Festival ha incluso anche tanti altri eventi, da incontri degli invitati con gli alunni a proiezioni di film, recite di poesie, diversi laboratori e sessioni di autografi. Tra gli invitati si sono annoverati scrittori romeni famosi come Bogdan Alexandru Stănescu, Simona Goșu, Cristian Fulaș, Dan Coman, Simona Antonescu oppure lo scrittore-regista Cristian Mungiu, ma anche cinque importanti scrittori stranieri tradotti in Romania: l’ucraino Andrei Kurkov, il russo Mikhail Shishkin, la svedese Linda Boström Knausgård, il francese Mathias Énard e l’americano Edward Ashton.
Mikhail Shishkin è conosciuto ai lettori romeni soprattutto per i libri Capelvenere, Punto di fuga – tradotti in romeno da Antoaneta Olteanu – e, di recente, per My Russia, tradotto in romeno da Adriana Dănilă, tutti pubblicati presso la casa editrice Curtea Veche. Questi libri, purtroppo, non si trovano in vendita nelle librerie della Russia, dove Mikhail Shishkin è stato dichiarato di recente “agente straniero”. Shishkin ha lasciato il Paese 30 anni fa, è un critico feroce di Vladimir Putin e del suo regime ed ha rifiutato di andare in Russia dopo l’annessione della Penisola di Crimea nel 2014, sebbene sia l’unico scrittore in vita insignito di tutti i grandi premi letterari russi (Bolshaya Kniga, Russkii Buker e Natsionalnyi Bestseller), è stato tradotto in 30 lingue ed è considerato uno dei più importanti rappresentanti della letteratura russa contemporanea.
Abbiamo chiesto a Mikhail Shishkin se esiste una continuità tra il suo lavoro di romanziere e il suo attivismo cittadino: “C’è una differenza fondamentale tra letteratura e pubblicistica. La letteratura è un’arma troppo grande per sparare contro i dittatori dei nostri tempi. Perché la letteratura non combatte contro Putin, bensì contro il male del mondo. Capite la differenza, vero? Perciò, nei miei romanzi non vedrete nessuna delle politiche attuali. Ma uno non può neanche stare e guardare in silenzio quello che sta accadendo. Quando uno tace, vuol dire che sostiene ciò che succede. Per me è importante dire di “NO” a tutto quello che sta accadendo in Russia, perché stiamo vivendo in una guerra. E non sono ingenuo da pensare che attraverso i libri, la letteratura, l’arte, la musica possiamo prevenire o fermare la guerra. La letteratura non può fermare i cannoni. Però dà all’essere umano la speranza che il mondo non scivolerà nell’inferno, nell’abisso. Perché i Putin, gli Stalin, gli Hitler vengono e vanno via, però Bach, Beethoven restano, saranno sempre attuali. Io formulerei così il compito della letteratura: ebbene, il mio romanzo non può far scendere le persone in piazza, farle salire sulle barricate e dire di “NO” alla guerra, per essere poi buttate nel carcere; però qualcuno che lo leggerà penserà poi alla sua dignità di essere umano e il romanzo influirà su di lui in qualche modo – perché nella vita la cosa più importante non è comprarsi un appartamento o una macchina buona, ma pensare alla propria dignità umana. E cosa vuol dire questo? Che cosa sono pronto a sacrificare per la mia dignità di essere umano? Dov’è il limite entro il quale posso subire, accettare umiliazioni in questa vita e quando scenderò in piazza per difendere la mia dignità? Solo l’arte e la letteratura possono farci pensare a questo. E per questo i miei romanzi sono delle armi.”
Mikhail Shishkin ci ha parlato anche di come vede il ruolo della letteratura nel mondo di oggi: “Non possiamo dire che la letteratura sia una specie di panacea, che possa cambiare il mondo… Una sola cosa può cambiare il mondo – la cultura nel suo insieme, l’educazione, la disseminazione della conoscenza. Negli ultimi 200 – 300 anni, c’è stata la più importante rivoluzione dell’umanità, il passaggio dalla coscienza tribale a quella individuale. E oggi tra la popolazione della Russia e l’umanità evoluta si è creato un precipizio. È un precipizio nel tempo. Perché in Russia la maggior parte della popolazione vive ancora nel passato, con una coscienza tribale, si identifica alla propria tribù. Ma io vivo già con una coscienza individuale. Solo io decido cosa è bene e cosa è male, non la mia tribù, non il capo della mia tribù. E il passaggio dalla coscienza tribale a quella individuale è possibile solo attraverso la conoscenza, l’educazione, la cultura e la letteratura. Per questo qualsiasi regime della Russia, qualsiasi dittatura farà della cultura il suo principale nemico. Quante scuole ci sono in Russia? Centinaia di migliaia, nessuno le ha contate. In ogni scuola, c’è un gabinetto di lingua russa, in cui sulla parete è appeso un ritratto di Tolstoij. Nessun insegnante metterà mai accanto al ritratto di Tolstoij la sua citazione “il patriottismo è una forma di schiavitù”. Perché l’unica cosa che la cultura deve fare per il regime è allevare patriotti – ovvero schiavi. Schiavi che penseranno di difendere la patria dai nemici, ma, infatti, difenderanno sempre questa dittatura. Per questo, il principale compito del regime è che non ci sia alcun tipo di educazione, alcun tipo di cultura. Di tutta l’opera di Tolstoij prenderà solo l’educazione di patriotti. Dunque, in Russia, per cambiare questa coscienza bisogna prima cambiare il regime. E per cambiare il regime non esiste più alcun mezzo pacifico. Quando è iniziata la guerra contro l’Ucraina, ho avuto la speranza che finalmente tutto il mondo si sarebbe unito e avrebbe fornito all’Ucraina sufficienti armi per vincere la lotta sul campo di battaglia. È l’unica possibilità per sconfiggere il regime di Putin. E nei primi mesi di guerra sembrava che l’Occidente si fosse unito per sostenere l’Ucraina. E cos’è successo alla fine? Tutti i Paesi democratici hanno tradito l’Ucraina. Hanno tradito me, la mia lotta personale, la speranza. Questo vuol dire che la Russia rimarrà così com’è. I bambini continueranno ad essere allevati per essere patriotti. Guardate cosa sta accadendo adesso nelle scuole, i bambini sono di nuovo vestiti in tute militari e addestrati per essere sacrificati sul fronte. Come possiamo impedirlo?”
Nel 2024 è stato assegnato per la prima volta il premio letterario Il Dono (la cui denominazione evoca il titolo dell’ultimo romanzo scritto in lingua russa da Vladimir Nabokov) per gli autori che scrivono letteratura in russo, premio istituito su iniziativa di Michail Shishkin per sostenere la traduzione in lingue veicolari di opere di scrittori russofoni al di fuori del circuito ufficiale della Federazione Russa. Proprio durante il festival NOD, anche questo premio letterario è stato dichiarato “agente straniero” in Russia, destando la profonda amarezza dell’invitato.
L’ultimo libro pubblicato da Michail Shishkin analizza il rapporto che lo scrittore ha oggi con i suoi “genitori” culturali, i grandi classici della letteratura russa, nel contesto della guerra in Ucraina. Aspettiamo che sia tradotto anche in lingua romena.