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Epidemie nello spazio romeno

Le epidemie sono considerate dagli storici un forte fattore di influenza sulla civiltà umana. Le epidemie che hanno avuto il maggiore impatto sono state quelle di peste, vaiolo e colera.

Epidemie nello spazio romeno
Epidemie nello spazio romeno

, 06.11.2015, 20:59

Le epidemie sono considerate dagli storici un forte fattore di influenza sulla civiltà umana, come qualsiasi altro avvenimento importante. Le epidemie che hanno avuto il maggiore impatto sono state quelle di peste, vaiolo e colera. La peste nera è considerata la pandemia che ha ucciso il maggiore numero di persone di tutta la storia. Alcuni storici attribuiscono alla pandemia di peste della metà del 14-esimo secolo circa 75 milioni di morti. Solo alla fine del 19-esimo secolo, nel 1894, il francese Alexandre Yersin ha scoperto il batterio che provocava la peste e quindi anche il rimedio di una delle più terribili malattie mai conosciute. Prima della grande scoperta di Yersin, l’unica cura contro la peste era “si salva chi può”, ovvero, in termini medici coloro che sviluppavano un’immunità al batterio o che soffrivano di una forma più leggera della malattia.



Octavian Buda, docente di storia della medicina presso l’Università di Medicina e Farmacia ”Carol Davila” di Bucarest, ha accennato alle testimonianze sulla peste del 15-esimo secolo nello spazio romeno che è seguita alla pandemia del precedente secolo.



“Esistono descrizioni fatte da medici allogeni presso le varie corti dell’epoca, quella di Stefano il Grande, di Matteo Bessarabo e di Vasile Lupu. Il maggiore problema riguarda l’identificazione del quadro clinico perché il termine generico di “ferita” utilizzato all’epoca aveva un senso molto largo. Informazioni concrete sul caso di Giovanni Hunyadi non ne abbiamo. E’ probabile che sia legato al teatro di guerra meridionale. Una delle ultime epidemie di peste nell’Europa occidente si diffuse attraverso il porto di Ragusa di Dalmazia. C’è un’idea abbastanza inedita di uno storico della medicina romeno, Nicolae Vătămanu, il quale avanza, con argomenti validi, la teoria che nella famosa battaglia di Războieni, di cui si sa che è stata vinta dagli ottomani di Maometto II contro Stefano il Grande, una vittoria pirrica, perché sono morte decine di migliaia di persone, ci sia stato anche un episodio di peste, arrivata dalla zona degli Urali e della Crimea. E’ una discussione che vale la pena analizzare molto attentamente.”



Le epidemie di peste continuarono periodicamente anche nei secoli successivi, quella di Londra del 1666 essendo una terribile, anche se di minore diffusione rispetto alle precedenti. Nel 18esimo secolo, nei principati romeni cominciava il periodo fanariota e il primo principe, Nicolae Mavrocordat, fu ucciso dalla peste nel 1730. Ma il maggiore impatto lo ebbe la peste di Caragea del 1813-1814. Il periodo fanariota fu considerato metaforicamente uno nefasto nella storia della Romania proprio perché è cominciato ed è finito con un’epidemia di peste. Octavian Buda ha accennato alle misure prese dalle autorità della Valacchia e dei metodi di lotta all’epidemia.



“Venne creato una specie di cordone di quarantena sul Danubio verso Bucarest, fu designato una specie di amministratore dei lazzaretti e completato il numero di membri di una professione che nel rispettivo periodo aveva molto lavoro da fare, si tratta dei becchini, designati ad occuparsi dei cadaveri e a gestire persino i posti in cui le vittime venivano seppolte. La classe dei becchini diventò molto attiva, erano ben pagati per il loro lavoro di raccogliere e seppellire i morti. I becchini venivano selezionati — ed è un’idea anti-epidemica molto interessante – tra coloro che si erano ammalati di peste ma erano riusciti a salvarsi. In modo empirico, la gente era consapevole che quelle persone avevano guadagnato una specie di immunità. Lo storico Ion Ghica si riferisce ai becchini in termini molto negativi. Quando passavano vicino ad una casa ricca, strappavano pezzi di vestiti dei morti di peste e diffondevano ancora di più la malattia. Anche se rischiavano la pena capitale, a volte amazzavano i malati di peste strada-facendo oppure addirittura li seppellivano vivi per non stancarsi più di portarli negli ospedali. Infatti, troviamo un episodio inedito nel rappporto di un becchino: ”oggi ho raccolto 15 morti che ho portato con la carrozza sul campo di Dudesti, ma alla fine sono arrivato solo con 14 perché uno è scappato.”



La disperazione della gente non poteva essere fatta sparire nè dai preti, né dai medici, l’unica consolazione lo dava l’alcol, l’eterna soluzione dell’uomo che affronta difficoltà.



“In assenza di trattamenti efficaci, certo che l’alcol veniva consumato in grosse quantità perché tranquillizava gli spiriti. Ma anche qui vennero introdotti divieti. C’erano persino guaritori che promettevano ai malati di peste di salvarli se entravano in contatto con una tartaruga. A Bucarest esisteva un ospedale per i malati di peste, Dudesti, poi l’ospedale del Santo Vissarion creato sul modello veneziano del lazzaretto in cui venivano rinchiusi i malati di peste e il regime era simile a quello applicato nel caso delle malattie infettive.” — ha dichiarato Octavian Buda.



Il terribile gelo dell’inverno 1813-1814 rese meno attive le manifestazioni della peste, senza però annientare la malattia. Secondo i rapporti del console austriaco a Bucarest Fleischak von Hackenau, durante la peste di Caragea morirono circa 4500 persone. Con “la peste di Caragea”, definita così perché la malattia era stata portata da una persona della scorta del principe entrato di corsa a Bucarest per assumere il suo mandato e rifiutando la quarantena, finiva un’epoca e cominciava la modernità. (traduzione di Gabriela Petre)

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