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100 anni dall’entrata della Romania nella prima guerra mondiale

Il 27 agosto 1916, dopo due anni di neutralità, la Romania entrava nella prima guerra mondiale dalla parte della Triplice Intesa.

100 anni dall’entrata della Romania nella prima guerra mondiale
100 anni dall’entrata della Romania nella prima guerra mondiale

, 23.09.2016, 16:02

Il 27 agosto 1916, dopo due anni di neutralità, la Romania entrava nella prima guerra mondiale dalla parte della Triplice Intesa. Lo faceva in seguito alle pressioni della Francia, principale e tradizionale alleata della Romania. Sotto lo slogan “ora o mai”, la Romania accettava di partecipare alla guerra dopo che aveva ottenuto la promessa che, nel momento della firma della pace, i territori abitati dai romeni dellAustria-Ungheria si sarebbero unificati con il Regno di Romania. Il ritardo dell’entrata in guerra della Romania ha avuto una doppia spiegazione. La prima è stato il desiderio di re Carlo I che la Romania combattesse accanto alla Germania, desiderio respinto dalla classe politica, mentre la seconda è stata la sfiducia dell’esercito romeno nell’alleanza con la Russia dopo la sfortunata esperienza della guerra del 1877-1878. Nei due anni di conflitto, la Romania ha perso 535.700 militari, morti, feriti e dispersi, cioè il 71% degli effettivi dell’esercito con il quale era entrata in guerra, piazzandosi al quarto posto in una classifica nera dopo l’Austria-Ungheria, che aveva perso il 90% degli effettivi, la Russia — il 76% e la Francia — il 73%. A queste perdite si aggiunge la morte di 300.000 civili, di cui 250 medici e 1.000 infermieri, a causa del tifo esantematico. Alla fine della guerra però la Romania ricevette dei territori e si formò la Grande Romania pagata però con il prezzo di quegli enormi sacrifici umani.



La storia della guerra ha subito pure essa delle modifiche che hanno influito sulla percezione pubblica di quegli anni. Dopo la guerra, le vittime, i loro eredi, gli invalidi e i superstiti hanno beneficiato di attenzione. La storia era meno trionfalista, lo shock delle perdite di vite umane segnava ancora la ricostruzione psicologica e materiale del tessuto sociale. La storia è diventata militante, man mano che il tempo è passato e le ideologie politiche hanno fatto sì che la dimensione umana fosse messa in ombra, ai danni del patriottismo e dell’interesse nazionale. Le tragedie della prima guerra mondiale sono cominciate a non essere più considerate tragedie dell’umanità, bensì sacrifici per la patria. E’ stato così anche nel caso della Romania che ha attraversato le fasi della storia militante, tutto culminando con il regime comunista che ha gravemente deformato il significato degli avvenimenti di 100 anni fa.



Secondo lo storico Răzvan Pârâianu dell’Università “Petru Maior” di Târgu Mureş, l’entrata della Romania nella “Grande Guerra” va considerata come una restituzione dei sensi e dei veri sentimenti della gente dell’epoca: Non possiamo guardare innocenti il passato. I sensi, i significati, la semantica delle parole più banali sono diversi. Molti diranno che si tratta di relativismo. Ma non è relativismo, è la comprensione del fatto che noi intendiamo in maniera diversa dai nostri genitori, dai nostri nonni e bisnonni l’idea di nazione e di popolo. Bernard Paqueteau, un sociologo francese arrivato in Romania negli anni 1990, ha scritto un articolo sul congelatore delle idee false. Era nel periodo in cui Robert Kaplan aveva scritto sui fantasmi dei Balcani. L’articolo di Paqueteau era una reazione contro l’opinione che il regime comunista avesse inserito i fantasmi del passato in un frigo, li avesse fatti congelare e dopo il 1989 qualcuno avesse tirato il cavo del frigo dalla presa e i fantasmi fossero tornati, cominciando a girare per la società. Paqueteau dice chiaramente che i fantasmi non sono gli stessi e che non c’è mai stato alcun frigo. Il regime comunista ha alterato radicalmente non solo il senso delle parole, ma anche la società stessa, quella che capisce i significati.



Si dice che le parole attirino la realtà, cioè il loro significato è così forte che diventa decisivo nella formazione di certe opinioni. Răzvan Pârâianu è del parere che lo storico debba formulare interpretazioni credibili della prima guerra mondiale senza lasciarsi influenzare dalle ideologie: Non possiamo guardare innocenti la prima guerra mondiale. Fra il 1916 e il 2016 esiste un vero e proprio precipizio che altera i sensi delle parole e dei fatti. La storia concettuale di Reinhard Koselleck rileva che la semantica è collegata ai mutamenti che avvengono nella società, ai cambiamenti che porta la vita politica. Non si tratta di un cambiamento immediato. I sensi hanno un certo ritardo e dobbiamo stare attenti ai cambiamenti. Lo storico olandese Frank Ankersmit afferma che il linguaggio narrativo non è un linguaggio-oggetto. Ankersmit vuole dire che l’archeologo trova oggetti antichi, li porta alla luce, ma l’oggetto resta sempre un oggetto. Noi non abbiamo a che fare solo con degli oggetti, ma anche con sensi e significati, con il ruolo che i rispettivi oggetti avevano all’epoca. Immaginiamoci che, nel terzo millennio, un archeologo farà degli scavi e troverà una bottiglia. Potrebbe pensare che noi utilizzassimo quella bottiglia per bere vino. Ma la bottiglia potrebbe essere una lampada, oppure potrebbe essere stata utilizzata come cocktail Molotov. Sarebbe penoso che una lampada fosse presa per un cocktail Molotov solo perché la forma è uguale, mentre i loro ruoli sono completamente diversi.



Leggere la stampa, i giornali, le lettere e gli appunti personali degli anni della prima guerra mondiale ci svela lo spirito che ha accompagnato la partenza di centinaia di migliaia di romeni su una strada sconosciuta, diversa da quella con cui siamo abituati. Per molti di loro, è stata una strada senza ritorno. Alla fine della guerra, la Grande Romania è stata la ricompensa per il loro sacrificio, ma i loro cari hanno forse considerato troppo alto il prezzo pagato. (tr. G.P.)

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