La storia delle cinture di pelle
L'artigianato è sull'orlo della scomparsa ed è proprio per questo che le esperienze degli artigiani sono affascinanti. È anche il caso di Petru Chincea, nato in un villaggio della zona del Banato Montano, che da oltre 60 anni lavora con la stessa passione cinture e altri oggetti in pelle, tutti fatti a mano, proprio come ha imparato da bambino.

Ana-Maria Cononovici, 15.05.2025, 12:59
L’artigianato è sull’orlo della scomparsa ed è proprio per questo che le esperienze degli artigiani sono affascinanti. È anche il caso di Petru Chincea, nato in un villaggio della zona del Banato Montano, che da oltre 60 anni lavora con la stessa passione cinture e altri oggetti in pelle, tutti fatti a mano, proprio come ha imparato da bambino. Petru Chincea: “Ho ereditato questo mestiere da mio nonno materno. Mio nonno era contadino, ma lavorava al complesso siderurgico, ai laminatoi. E c’erano delle cinghie, che venivano buttate via, ma erano ancora buone. E mio nonno disse: già che vengono buttate via, potrei farne qualcosa? E iniziò a fare finimenti per cavalli. Gli scarti delle cinghie venivano buttati via, perché la tecnologia a quel tempo era la vecchia tecnologia tedesca. E la sera mio nonno cercava di convincermi che gli sarebbe piaciuto che suo nipote ereditasse la sua passione, che questa era una passione, non il suo lavoro. Era contadino e operaio, ma la sera faceva delle cinture per la gente del villaggio. E mi diceva, nipote mio, vieni a vedere come faccio e il nonno ti ricompenserà. Come mi ripaghi? – gli chiedevo, e lui rispondeva: Ti do un leu e ti compri le caramelle. Era fantastico!”
Nonostante il padre volesse portarlo in fabbrica, al bambino non piaceva perché aveva visto il padre con una tuta sporca, come ha raccontato a Radio Romania. Così, dopo aver terminato le 10 classi, lasciò Reşiţa per andare a frequentare la scuola di mestieri di Iaşi. Dopo 3 mesi ritornò a Reşiţa, in un’officina che produceva cinture gestita da un uomo che aveva lavorato sempre al complesso siderurgico, che a quel tempo era il luogo in cui si formavano gli artigiani, come abbiamo appreso da Petru Chincea: “È così che ho iniziato il mio mestiere. Sono rimasto alla Cooperativa per circa due anni, avevo un contratto, mio padre ha dovuto firmarne uno quinquennale, ma quando sono partito per il servizio di leva, pensavo al complesso siderurgico, perché lo stipendio era il triplo rispetto alla Cooperativa. Il bello della Cooperativa era che c’era libertà, potevi anche andare via prima della fine dell’orario di lavoro, ma lo stipendio non era molto buono. Quando mi sono sposato, prima di partire per il servizio di leva, avevo bisogno di soldi. I miei colleghi, che lavoravano al complesso siderurgico, continuavano a mandarmi segnali: vedi che uno parte per la Germania, un altro va in pensione, chi vuole venire? Al complesso siderurgico si producevano e si riparavano cinghie di trasmissione. E dopo il servizio di leva, ci sono andato.”
All’inizio nello stabilimento lavoravano solo tedeschi e ungheresi e solo in seguito hanno imparato il mestiere anche i romeni. Petru Chincea ci ha raccontato che nel 1987 c’erano 14 lavoratori che producevano cinghie, ma che dagli archivi risulta che dopo la guerra ce n’erano 40. Ma poiché i tempi in continuo cambiamento richiedono la capacità di adattarsi, Petru Chincea ha aperto una bottega: “Nel 2000, ho anticipato che non ci sarebbe stato più bisogno di lavoratori per fabbricare cinghie al complesso e ho aperto una piccola bottega, ho iniziato a raccogliere attrezzi e a fabbricarli. Tutti gli utensili venivano realizzati in fabbrica perché non c’era nessun altro posto dove farlo. E nel 2001 ho aperto la mia bottega, dove lavoravo anche 10 ore al giorno. Mi dispiace di non avere nessuno a cui lasciare quest’eredità, perché non ho figli e nessuno vuole venire ad aiutarmi con il mio lavoro.”
Per necessità, ha imparato anche a fare dei sandali e altri tipi di scarpe, ha aggiunto il nostro interlocutore, ammettendo che lavorare nella sua bottega gli ha portato via più tempo che lavorare al complesso siderurgico e che ha avuto bisogno di adattarsi ed essere creativo: “Ci vuole un po’ di creatività, proprio come nel caso dei pittori o degli scultori. Se chiedevano sandali, facevo sandali, se chiedevano cinture, facevo cinture. Questi mestieri, che sono sull’orlo dell’estinzione, saranno ancora ricercati ad un certo momento, ma non ci sarà più nessuno che li svolga perché non formiamo i giovani. I giovani oggi stanno più su internet, sono più interessati alle tecnologie. Io faccio le cinture, cinture larghe come quelle che usavano i pastori per metterci i soldi, o gli anziani per il lavoro nei campi, cinghie per gli atleti, o per chi soffre di mal di schiena. Non a caso i nostri anziani usavano le cinghie. Faccio di tutto: foderi per coltelli, portafogli, collari per cani, sandali. Il cuoio è più spesso, non è il cuoio sottile che usano i pellicciai e i calzolai.”
Sebbene la fabbricazione di finimenti fosse un tempo un’attività artigianale essenziale nei villaggi romeni, poiché i contadini necessitavano di attrezzature durevoli per il lavoro e gli animali, oggi i prodotti di Petru Chincea sono apprezzati come oggetti d’arte popolare, esposti in fiere, festival e talvolta in collezioni private. Ogni pezzo è unico, decorato con motivi e cuciture tradizionali che raccontano le storie della zona del Banato. Per la comunità di Caraș-Severin, Petru Chincea è più di un artigiano: è un simbolo della continuità, un testimone vivente di un mondo che sta comparendo, e la sua bottega diventa così un luogo di patrimonio vivente.