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I romeni d’Istria

I romeni d'Istria sono il più piccolo di tutti i gruppi romeni e il più distante geograficamente dalla massa compatta dei romeni nell'arco dei Carpazi e nel bacino del Danubio.

Pagine di storia
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, 20.10.2025, 20:25

Non tutti i romeni vivono in Romania, così come altre nazioni non vivono interamente nei propri paesi. Oggi, al di fuori dei confini della Romania, i romeni vivono nella Repubblica di Moldova, in Ucraina, in Ungheria, in Serbia, in Bulgaria, paesi confinanti con la Romania, ma anche in Grecia, Macedonia del Nord, Albania e Croazia. Di tutti questi romeni, quelli della Croazia, più precisamente d’Istria, sono quelli di cui si è parlato meno. La spiegazione è che sono il più piccolo di tutti i gruppi romeni e il più distante geograficamente dalla massa compatta dei romeni nell’arco dei Carpazi e nel bacino del Danubio. Tuttavia, si è scritto di loro a partire dalla metà del XIX secolo, con lo storico e scrittore Gheorghe Asachi tra i primi a farlo. Anche il filologo sloveno Franz Miklosich e Andrei Glavina, il primo istroromeno a scrivere dall’interno della sua comunità, si sono occupati della loro lingua, cultura e dei loro costumi.

Dopo il 1918, con l’emergere della Grande Romania, molti romeni provenienti da fuori Romania immigrarono e ottennero la cittadinanza romena. Ma i casi di arrivo di istro-romeni furono molto rari. Domenico Cvecici fu uno di quei pochi istro-romeni che scelsero di diventare cittadini romeni. Nel 1937, all’età di 11 anni, lasciò il suo villaggio natale di Şuşnieviţa per studiare in Romania, a Cluj. Cvecici proveniva da una regione submontana, con un paesaggio carsico. Gli abitanti erano dediti alla pastorizia e all’attività mineraria. Nel 2002, raccontò al Centro di Storia Orale della Radio Romena che le possibilità di istruzione per i bambini provenienti da quelle povere regioni montane erano limitate. “I bambini istro-romeni erano destinati a rimanere legati alla terra, aiutando in casa dei genitori, finché non trovavano un’altra occupazione o emigravano in città. A casa, parlavo istro-romeno, parlavo solo in dialetto. L’italiano si insegnava solo alle elementari, quando ci andai non sapevo una parola, nemmeno una parola. C’erano, poveretti, alcuni che riuscivano a malapena a cavarsela con la lingua, imparavano poche parole e per lo più leggevano o si ispiravano a un libro quando c’era una risposta da dare o chiedevano ad altri. Alcuni di loro non arrivarono lontano nella vita a causa della precaria situazione economica dei genitori che non potevano sostenerli negli studi oltre la scuola elementare.”

Il rilievo della zona non consentiva un intenso sviluppo economico, ma un altro problema era più grave: la mancanza d’acqua. Domenico Cvecici ha descritto come la gente riuscisse, nonostante tutto, a procurarsela. “La situazione economica era precaria. Poi, una situazione grave era la mancanza di acqua potabile. Nella zona, a sud, nei sette villaggi abitati da istro-romeni, c’erano solo due sorgenti che avevano acqua potabile. Proveniva dalle colline o dalle montagne. La prima era in pianura dove c’era una riserva per la coltivazione del fieno per gli animali e c’era un altro pozzo fatto dall’uomo per abbeverare il bestiame. Lì, la gente portava l’acqua da bere, o con botti installate su carri e trainate da buoi (i cavalli erano meno numerosi, però), o con le donne che la trasportavano sulla schiena. C’era un recipiente costruito apposta per essere piegato sulla schiena della donna, che portava una cintura che si annodava intorno alla vita. La base di questo recipiente, una volta riempito, veniva fissata a una cintura e la donna lo tirava avanti con una corda, sostenendolo in modo che non si rovesciasse e che potesse trasportarlo. La situazione dell’acqua potabile era tragica ed è per questo che molti, lontani da queste sorgenti, consumavano acqua piovana filtrata. L’acqua scorreva dai tetti delle case, attraverso le grondaie, nel pozzo e lì avveniva la filtrazione. Cioè, si sedimentava. C’era sabbia nel pozzo, la parte sporca raggiungeva il fondo e l’acqua più pulita rimaneva in superficie, ma senza alcun contenuto necessario al corpo umano.”

In questa comunità, i momenti importanti della vita venivano celebrati. Le festività religiose erano le più importanti. Domenico Cvecici. Tra: “Le feste si riducevano, soprattutto il Natale, al panettone. Si allevavano maiali, ogni famiglia ne allevava uno. Il fuoco, nella maggior parte delle case, soprattutto d’inverno, veniva acceso nella cucina, dove si preparava il cibo; d’inverno si affumicava anche la carne. Altre famiglie avevano stufe a legna in cucina. A Pasqua c’erano più il panettone e le uova rosse, e gli adulti questi piatti con un bicchiere di vino e i bambini lo assaggiavano, dato dai genitori o di nascosto.”

Domenico Cvecici ricordava anche il dialetto che parlava a casa e nella comunità. “Ricordo meno l’istro-romeno, ricordo solo le parole (chi sei tu?), invece di , questo rotacismo, quella intervocalica trasformata in . Non c’erano poesie e preghiere in istro-romeno, erano in italiano durante il periodo italiano, e nel periodo precedente non so esattamente, credo in tedesco. Non avevamo nulla delle cose sacre tradotto in istro-romeno.”

Gli istro-romeni sono un piccolo gruppo di romeni in Croazia consapevoli di essere diversi dagli altri. Tuttavia, sono un gruppo etnico che ha contribuito alla storia locale.

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