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Rivoluzione anticomunista: il caso Otopeni

La Rivoluzione romena del dicembre 1989 fu il più importante avvenimento che segnò la storia della Romania nella seconda metà del 20esimo secolo. Un momento tragico della rivoluzione fu il massacro di Otopeni.

Rivoluzione anticomunista: il caso Otopeni
Rivoluzione anticomunista: il caso Otopeni

, 29.12.2014, 15:03

La Rivoluzione romena del dicembre 1989 fu il più importante avvenimento che segnò la storia della Romania nella seconda metà del 20esimo secolo. Ma i momenti della riconquista della libertà si intrecciarono con alcuni molto tragici. Uno di questi fu il massacro di Otopeni, la mattina del 23 dicembre. Dopo un terribile malinteso, l’unità di difesa dell’aeroporto aprì il fuoco contro un convoglio formato da tre camion ammazzando 50 militari che venivano a rafforzare la sorveglianza dell’obiettivo. Considerati terroristi, i militari pagarono con il prezzo della propria vita lo scarso addestramento delle persone incaricate della gestione dell’unità, le carenze nelle comunicazioni, gli ordini contraddittori, l’eccitazione della gente e l’impatto delle voci che giravano. Assieme allo storico Şerban Pavelescu abbiamo ricostituito 25 anni dopo quella giornata nera della rivoluzione romena.



L’incidente del 23 dicembre 1989 è uno degli avvenimenti che dovrebbero essere inseriti nei manuali di addestramento dei militari. Nell’inchiesta e nel processo durato 18 anni, le testimonianze dei sopravvissuti dimostrano che c’è stata una serie di fattori che hanno determinato gli avvenimenti svoltisi la notte fra il 22 e il 23 e la mattina del 23 dicembre. Più esattamente, nell’unità di difesa dell’aeroporto Otopeni c’erano più subunità appartenenti al Ministero della Difesa Nazionale, ai doganieri, alla Direzione Aviazione Militare e delle guardie patriottiche. Va notato che alcuni elementi del centro non avevano l’addestramento militare necessario, altri erano in fase di formazione. Quelli che erano più valorosi e addestrati erano disarmati e ritenuti sospetti, si trattava dell’Unità Speciale di Lotta Antiterroristica (USLA) e di quelle del Ministero degli Interni, incaricate a garantire la guardia e la sicurezza dell’aeroporto”, spiega Pavelescu.



Şerban Pavelescu ha descritto le premesse che hanno determinato la tragedia. Erano dispiegati tiratori sia al primo piano del vecchia stazione, che a livello del suolo, sull’edificio della Direzione dell’Aviazione Civile, da una parte e dall’altra delle vie frontali di accesso alla air station. Erano dispiegati marines, sia con armamento leggero che con armamento pesante da fanteria, soprattutto un trasportore anfibio corazzato e mitragliatrici pesanti da 14,5 mm. L’unità era costituita da più di 48 ore, la gente era stanca, erano stati in allerta continua, avevano avuto più incidenti senza poter dire se erano stati reali o meno. Possiamo però dire che erano ritenuti reali dalle persone dell’unità. La gente era agitata e, come rilevato anche dall’ulteriore inchiesta della procura militare, guidata male”, racconta Şerban Pavelescu.



All’alba del 23 dicembre, i rinforzi, ovvero il distaccamento Câmpina” preveniente dalla scuola di sottufficiali del Ministero dell’Interno di Câmpina, partirono per Otopeni.



Il distaccamento di Câmpina aveva ricevuto dal comandante delle truppe di sicurezza, il generale Grigore Ghiţă, l’ordine di andare alla air station. Quelli dell’unità di difesa erano stati già messi all’erta tramite chiamate anonime, tramite le televisione romena e persino attraverso altre vie abituali di comando a disposizione che sarebbero stati attaccati e aspettavano rinforzi da un’altra parte. Fatto sta che sebbene il distaccamento Câmpina avesse dovuto entrare dalla via di servizio che portava al terminal trasporto merci dell’aeroporto, parallelo a quello che portava alla vecchia air station, esso entrò perpendicolarmente al centro di difesa”, racconta ancora Şerban Pavelescu.



La terribile fine dei militari di Câmpina fu l’effetto logico delle circostanze descritte dallo storico Şerban Pavelescu. Intorno alle 7 del mattino, a dicembre, era ancora buio. C’era una luce spettrale, la gente era stanca, c’erano stati tanti allarmi lungo la notte. Per eccesso di zelo, il capitano Zorilă, che voleva fermare il convoglio, aprì il fuoco di avvertimento. Solo che in quel momento, aperto il fuoco, le persone che stavano sul tetto della Direzione Aviazione Civile considerarono di essere attaccate. Non avevano una comunicazione reale con i colleghi della air station e con quelli della prima linea. Perciò spararono pure loro. Seguì un cannonneggiamento generale interrotto con grande difficoltà. I militari sopravvissuti del distaccamento di Câmpina gridarono di arrendersi, scesero disarmati e con le mani in alto. Si sentì uno sparo, nessuno può dire se sia stato reale o immaginario. Sembrò reale a quelli del centro. Fu l’effetto che abbiamo visto dappertutto durante i giorni delle rivoluzione, cioè che bastava uno sparo per essere seguito da una sparatoria generale, senza alcuna meta precisa. Seguì la seconda tappa del massacro in cui i militari del distaccamento di Câmpina furono nuovamenti sottoposti ad una seconda e più intensa sparatoria, durata circa 10 minuti”, ha spiegato Şerban Pavelescu.



I militari del distaccamento di Câmpina hanno pagato una parte del tributo di sangue della rivoluzione romena.


(traduzione di Gabriela Petre)

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