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Quanto è urgente adottare una strategia chiara di integrazione dei migranti?

Gli atti di violenza di strada contro i lavoratori stranieri stanno facendo sempre più notizia in Romania.

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, 12.11.2025, 20:37

Quanto è urgente adottare una strategia chiara per l’integrazione dei migranti? Gli atti di violenza di strada contro i lavoratori stranieri stanno facendo sempre più notizia in Romania. Allo stesso tempo, il problema dell’immigrazione illegale rimane altrettanto acuto, senza alcuna strategia da parte delle autorità per ridurre questo fenomeno. Nel luglio 2025, il Municipio Generale di Bucarest ha proposto al dibattito pubblico una strategia per l’inclusione dei migranti nella capitale, che mirava a integrarli gradualmente attraverso misure concrete, dall’accesso ai servizi pubblici, all’integrazione attraverso il lavoro e l’istruzione, corsi gratuiti di lingua romena, lotta alla discriminazione e partecipazione civica. Tuttavia, a seguito di un’ondata di odio sui social network, soprattutto nei gruppi Telegram neo legionari (ricordiamo che il movimento legionario fu l’estrema destra romena nel periodo intebellico), la strategia è stata temporaneamente ritirata.

Radu Stochiță, ricercatore e sindacalista in Romania, parla degli svantaggi a lungo termine della mancanza di integrazione degli stranieri: “Se queste persone vogliono rimanere in Romania e non riusciamo a integrarle… – e per integrazione non intendo una romanizzazione forzata – credo che nessuno lo vorrebbe, piuttosto intendo una conoscenza: una conoscenza del quadro giuridico in Romania e di ciò che sta accadendo, delle istituzioni, delle scuole, degli ospedali, di come funziona la società, di come viviamo le nostre vite. Noi, in questa situazione, impediremmo, da un lato, il fenomeno che potrebbe verificarsi, la ghettizzazione, in cui si rifugierebbero nelle loro comunità. Non è detto che questo accada con la prima generazione di migranti. Potremmo dire che loro sono la prima generazione, ma se vogliono stabilirsi qui, la seconda e la terza generazione, che stanno già nascendo o arriveranno più tardi, non avranno più bisogno di interagire con la comunità romena tanto quanto la prima generazione, perché sono dipendenti, il che significa che se vogliono andare al supermercato a fare la spesa, devono comprare il riso in uno dei grandi supermercati, perché è così che sanno cosa stanno comprando. Hanno anche i loro negozi, ma vanno principalmente nei negozi dove vendono i romeni in Romania. Ma le generazioni future non avranno esattamente le stesse esigenze, come abbiamo visto in Inghilterra. Se non riusciamo a integrarli, avremo quel fenomeno per cui formano comunità piuttosto chiuse, dove è molto più difficile entrare in seguito e fornire servizi quando necessario. Non credo necessariamente che una comunità chiusa porti alla radicalizzazione o che diventino fondamentalisti religiosi dall’oggi al domani. Il problema è che nessuno vuole, soprattutto in quest’epoca di società aperte, avere questi gruppi centrali di persone che non interagiscono con nessuno.”

L’esperto presenta una seconda argomentazione sulla necessità di integrazione, un’argomentazione economica legata alle pensioni e ai problemi che la Romania potrebbe avere nei prossimi anni con il primo pilastro. In altre parole, dopo il 1989 non sono nate abbastanza persone per poter compensare le perdite contributive che si verificheranno con il pensionamento delle persone nate dopo il decreto del 1966 adottato dal regime del dittatore Nicolae Ceaușescu, che ha vietato l’aborto e la contraccezione per stimolare una crescita demografica accelerata. “Un altro argomento, a mio avviso, è quello culturale. La cultura non è una cosa statica. La cultura romena non è un monolite di pietra che tutti teniamo tra le braccia, è un corpo molto più fluido che ognuno di noi influenza e manipola, ogni giorno. Una cultura interagisce con le altre, interagisce con i media scritti, con i media audiovisivi, con altre culture e si adatta nel tempo e continua a cambiare. E possiamo vederlo anche nelle interazioni con questi migranti, che, chiaramente, cambieranno e influenzeranno la cultura romena, e ne sono felice, perché è la strada giusta. Significa che forse prenderemo in carico alcuni aspetti della loro cultura, magari solo due o tre parole, chissà, due o tre espressioni, un piatto e lo adatteremo alle nostre esigenze locali, oppure sarà un semplice rispetto reciproco, in cui le due cose coesistono e non interagiscono affatto. Ma penso che sarà piuttosto un beneficio culturale sia per loro che per noi.”

Un altro problema segnalato dal ricercatore e direttamente correlato alla mancanza di una strategia di integrazione coerente è la mancanza di accesso ai servizi sanitari pubblici. Sebbene i lavoratori stranieri contribuiscano equamente al bilancio statale, all’assicurazione sociale, alle pensioni e alla sanità, pochissimi di loro hanno contatti con il sistema sanitario. “Quando lo hanno, spesso in situazioni di emergenza, eludono, o dovrei dire, aggirano il modo logico di funzionamento, di utilizzare il sistema sanitario pubblico romeno, che inizia con la medicina di base, cioè la medicina di famiglia, e solo in casi molto gravi arriva al pronto soccorso. Praticamente non hanno alcun contatto con la medicina di famiglia o con gli ambulatori specializzati.”

Stochiță sostiene che, anche in assenza di un’argomentazione umana e parlando strettamente da una prospettiva economica, il fatto che qualcuno si ammali gravemente una sola volta, perché non è stato inizialmente curato con la medicina primaria preventiva e poi con le cure ambulatoriali, implica costi di trattamento più elevati per lo stato. Il problema, sostiene, è che i migranti non sono informati e non sono supportati nell’interazione con il sistema sanitario pubblico romeno.

Foto: fb.com / Catedrala Națională
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