I fari di Sulina
I fari di Sulina raccontano la storia delle trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche e collettive della regione.
Steliu Lambru, 18.11.2025, 07:00
Diventato Paese con uscita al Mar Nero dopo la guerra del 1877-1878, che le portò l’indipendenza e la provincia di Dobrugia, la Romania ottenne anche un confine marittimo che doveva organizzare. L’apertura alla navigazione marittima introduceva così la Romania nel sistema delle relazioni internazionali, nelle tendenze e nelle pratiche dell’epoca.
I fari situati sulle coste hanno sempre aiutato i marinai a orientarsi ed evitare incidenti. Sulla costa della Dobrugia, i fari erano una presenza rara prima del XIX secolo. Ad eccezione di uno, quello alla foce del Danubio, vicino all’odierna Sulina, non ce n’erano altri. L’aumento dell’importanza commerciale del luogo in cui il Danubio sfocia nel Mar Nero portò alla loro comparsa.
Gheorghe Comârzan, membro fondatore dell’associazione “Scopri Sulina”, collezionista e iniziatore della mostra privata “La Vecchia Sulina”, conosce la storia dei fari della città più orientale della Romania. “La prima attestazione relativa alla costruzione di un faro a Sulina, un faro in legno sulla riva sinistra del Danubio, risale al 1745. Si tratta di un faro costruito dall’amministrazione ottomana. Nel 1740, gli armatori si lamentavano con la Porta Ottomana perché, a causa della mancanza di un punto di riferimento per la navigazione, le navi affondavano e perdevano il loro carico. Anche le imbarcazioni andavano perdute e molti marinai morivano. Per conto della Porta Ottomana, Beshir Aga, responsabile delle foci del Danubio e del Delta del Danubio, prese provvedimenti per costruire il primo faro a Sulina. Nel 1802, questo faro fu riparato. Infine, durante le guerre russo-turche del 1826-1829, il faro fu distrutto da un incendio”, spiega Gheorghe Comârzan.
L’affermarsi della Russia in un’area sotto l’influenza ottomana per diverse centinaia di anni portò a miglioramenti nelle infrastrutture costiere. “Dal 1829, Sulina venne messa sotto l’amministrazione zarista. Con il Trattato di Pace di Adrianopoli, i russi si impegnarono a costruire un faro a Sulina, utilizzato come punto di riferimento nella navigazione per marinai e armatori. La costruzione del faro iniziò nel 1838. Nell’ottobre del 1841, i lavori furono completati. Era dotato di 13 lampade refrattarie, alimentate a gas. La portata massima notturna, ovvero la distanza dalla quale la luce del faro era visibile, era di circa 15 miglia nautiche. Durante la guerra di Crimea, Sulina, in seguito ad alcune battaglie che vi si svolsero, fu bombardata e incendiata dalle navi britanniche. Naturalmente, anche il faro subì lievi danni e fu messo fuori servizio. Con il Trattato di Pace di Parigi del 1856, che pose fine alla guerra di Crimea, fu istituita la Commissione Europea del Danubio”, aggiunge Gheorghe Comârzan.
Era la prima istituzione paneuropea a porsi l’ambizioso obiettivo di fare del Danubio un mezzo per avvicinare tutti gli europei. Per questo motivo, la Commissione fece costruire un nuovo faro a Sulina. “Tra il 1869 e il 1870, sulla riva sinistra del Danubio, alle foci del fiume di allora, la Commissione Europea del Danubio fece costruire un faro. Era noto come il Vecchio Faro sulla diga nord e fu costruito sotto la guida del caposquadra britannico William Simpson. Il progetto apparteneva all’ingegnere Charles Hartley. Questo faro aveva una luce rossa e guidava le navi che entravano sul braccio di Sulina. Le sue fondamenta poggiano su pali di quercia e blocchi di cemento. Fu dichiarato faro estinto nel 1925, quando le dighe furono estese nel mare e non c’era più bisogno di segnalare la foce del fiume”, dice il nostro interlocutore.
Il commercio di grano e legname rivitalizzò la zona e gli interessi economici portarono cambiamenti nelle relazioni internazionali. A partire dalla metà del XIX secolo, l’Impero Ottomano riconquistò le posizioni perdute sul Basso Danubio e riabilitò il faro. “Il faro venne preso in carico dall’amministrazione ottomana dei fari del Mar Nero, riparato, rimesso in funzione e, nel 1879, consegnato in buone condizioni alla Commissione Europea del Danubio. Nel 1910, le lampade a gas vennero sostituite con lampade ossiacetileniche e, nel 1939, il faro fu ceduto dalla Commissione Europea del Danubio, con tutto il suo patrimonio, allo Stato romeno. Venne istituita la Direzione Marittima del Danubio e la Commissione Europea del Danubio si ritirò. Il faro sopravvisse ai bombardamenti dell’aviazione sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale. Continuò a funzionare anche dopo la guerra e, nel 1970, l’impianto di illuminazione fu modernizzato. L’impianto ossiacetilenico venne sostituito con l’illuminazione elettrica. Il 6 gennaio 1986 fu dichiarato fuori uso, venne ufficialmente dismesso perché non più idoneo alle esigenze di navigazione”, ricorda Gheorghe Comârzan.
I nuovi tempi richiedevano una nuova struttura per i navigatori, poiché il vecchio faro di Sulina era considerato obsoleto. “Tra il 1977 e il 1983, alle foci del fiume fu costruito un nuovo faro, ancora oggi in funzione. Le sue fondamenta poggiano su 35 pilastri in acciaio e calcestruzzo, interrati a 30 metri di profondità, che garantiscono stabilità e sostengono l’intera piattaforma su cui sono collocati il faro e gli edifici annessi. Questo nuovo faro è alto 48 metri e la visibilità della sua luce è di 19 miglia nautiche”, conclude il nostro ospite.
I quattro fari di Sulina raccontano la storia delle trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche e collettive della regione. Il faro, costruito dalla Commissione Europea del Danubio e museo dal 2024, è uno dei depositari di questa storia.