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Fanariotismo nello spazio romeno

Nella storia della Romania, il Settecento è noto come il secolo fanariota, che trae nome dal quartiere greco Fanar di Costantinopoli, da dove provenivano i principi della Valacchia e della Moldavia.

Fanariotismo nello spazio romeno
Fanariotismo nello spazio romeno

, 17.05.2018, 13:03

Nella storia della Romania, il Settecento è noto come il secolo fanariota, che trae nome dal quartiere greco Fanar di Costantinopoli, da dove provenivano i principi della Valacchia e della Moldavia. Tradotto nel linguaggio della storiografia universale, il secolo fanariota romeno si chiamerebbe l’ancien régime. Se i romantici lo consideravano un secolo della corruzione e della decadenza generalizzata, gli storici dei nostri giorni lo ritengono, in ugual misura, un secolo della cultura e delle ricerche. I fanarioti erano membri delle ricchissime famiglie aristocratiche greche che si occupavano del commercio nella capitale ottomana. Controllavano il Patriarcato ecumenico ed erano penetrati nella gerarchia amministrativa ottomana, soprattutto come interpreti presso la Sublime Porta e le ambasciate.

Culturalmente, l’epoca fanariota portò lo stile di vita orientale e i suoi costumi, parallelamente al consolidamento del Cristianesimo ortodosso di lingua greca in tutti gli spazi d’influenza turca. A volta, il fanariotismo venne chiamato anche bizantinismo. Praticamente, cominciò nella seconda metà del Settecento. Altri storici lo ritengono una controparte orientale del barocco. Formalmente, nella storia della Romania i fanarioti apparvero nel 1711 in Moldavia, quando l’ultimo principe Dimitrie Cantemir si rifugiò in Russia, e nel 1716 in Valacchia. Per oltre 100 anni, sui troni dei due principati romeni salirono parecchi principi provenienti da famiglie di origine greca quali Mavrocordat, Caragea, Sutu, Mavrogheni, Moruzi, albanese come Ghica, ma anche da famiglie romene grecizzate come Callimachi, o puramente romene come Racovita e Sturdza.

Il Romanticismo ha attribuito all’orientalismo e al fanariotismo la responsabilità dell’arretratezza economica e la mancanza delle riforme politiche nella società romena. Però va detto che sempre dalle file dei fanarioti furono reclutate le nuove elite nazionali che hanno sostenuto la modernizzazione e l’uscita della società romena dai costumi validi fino al 1800. La storica Georgeta Filitti passa in rassegna le pecezioni rimaste fino ad oggi sull’eredità fanariota formalmente scomparsa nel 1821, dopo la Rivoluzione capeggiata da Tudor Vladimirescu.

Le ricerche sulla storia della Romania non rese pubbliche indicano due epoche di massimo interesse. Per primo si tratta dell’epoca antica, quando i daci e i romani stavano qui, con l’impero. E poi l’epoca fanariota. Mentre l’antichità è ritenuta un’epoca da glorificare, la seconda è da criticare. Esiste la percezione che tutto quanto è stato fatto di male viene dai fanarioti. Persino il nostro comportamento odierno viene attribuito sempre a loro. Però la nostra mentalità di oggi non è necessariamente una conseguenza, però siamo sempre contenti di dare la colpa a qualcuno senza controllare noi stessi e pensare a cosa ne abbiamo fatto noi. Quest’immagine non è dei nostri giorni; venne create dalla storiografia romantica, con Balcescu e Kogalniceanu in testa, però anche certi greci hanno demonetizzato totalmente i fanarioti. Il risultato è stato completamente negativo. Però, verso la fine del Novecento, lo storico Nicolae Iorga ha tentato di chiarire questi aspetti, spiega Georgeta Filitti.

Le capitali dei due principati – Bucarest e Iasi – erano due capitali orientali, secondo il modello dell’epoca. Le scarse fonti iconografiche settecentesche indicano che a Bucarest e Iasi prevalevano le case piccole e poche chiese, in riva a fiumi di scarsa importanza. Nel secolo successivo, le due capitali acquisirono identità urbane più accentuate, in particolare Bucarest. La capitale della Valacchia è rappresentativa per quel periodo in quanto era la più grande città, in cui si incontravano gli interessi economici della regione e, dopo il 1800, anche gli interessi politici delle Grandi Potenze europee, come Francia e Inghilterra. All’inizio del Novecento, Bucarest era un mix di etnie, un nodo economico crescente, con categorie sociali in cambiamento, riforme, crisi di autorità e istituzioni emergenti. Le elite immaginavano formule statali, cercando sostegno nelle cancellerie delle Grandi Potenze. In gran misura, la fisionomia di Iasi, capitale della Moldavia, corrispondeva a quella di Bucarest. Lungo i 200 anni, la storiografia romena ha offerto interpretazioni generalmente sfavorevoli ai fanarioti e alla loro storia. Però negli ultimi anni, alcuni autori hanno rivisto quel periodo, guardandolo in una maniera più obiettiva.

Tudor Dinu non si propone nè di elogiare nè di biasimare i fanarioti, ma semplicemente di presentare la storia di Bucarest sotto tutti gli aspetti. Nel momento in cui si entra nella profondità della vita bucarestina del Settecento fanariota, si constatano la presenza, l’influenza, il contributo, gli stabilimenti essenziali per la città fondati da questi greci. Perchè? Perchè nello spazio romeno spiccano certe presenze dinamiche: i greci, gli ebrei e gli armeni. Tra questi, i romeni si sono avvicinati di più ai greci. Questo legame di cuore tra greci e romeni diventò più forte in quel periodo. I mercanti, il movimento commerciale, quel mercato di Bucarest, fecero convergere correnti di idee del tutto inaspettate, l’organizzazione del commercio, i costumi, le relazioni degli abitanti del posto con i greci. Al di sopra di tutti stavano i principi fanarioti. E’ un’immagine equilibrata e corretta, ma anche nuova per tanta gente, ha concluso Georgeta Filitti.

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