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L’esercito romeno sul fronte orientale

La Romania entrò nella prima guerra mondiale nel 1941, accanto alla Germania, quando tutti gli sforzi per il mantenimento della pace erano falliti.

L’esercito romeno sul fronte orientale
L’esercito romeno sul fronte orientale

, 08.07.2013, 18:14

La Romania entrò nella prima guerra mondiale nel 1941, accanto alla Germania, quando tutti gli sforzi per il mantenimento della pace erano falliti. Il 22 giugno 1941, quando l’esercito romeno, assieme a quello tedesco, attraversarono il Prut per liberare la Bessarabia, annessa all’URSS un anno prima, le potenze vittoriose nella prima guerra mondiale si trovavano esse stesse in situazioni disperate. La Francia era stata occupata a giugno 1940 e l’Inghilterra faceva fatica a difendersi nel proprio arcipelago dalla furia del Wehrmacht. La Romania, punita da Hitler per la sua politica filo-francese e filo-inglese, si affiancò al nuovo ordine tedesco imposto in Europa e contribui in modo consistente alla guerra.



L’esercito romeno iniziò l’offensiva contro quello sovietico su un fronte compreso tra il Mar Nero e i Carpazi della Bucovina. Dopo una fiacca resistenza sovietica, di sole tre settimane, le truppe romene liberarono le due province, la Bessarabia e la Bucovina Settentrionale. Il 27 luglio, Hitler inviò al maresciallo Antonescu un telegramma di congratulazione per la liberalizzazione dei territori romeni, chiedendogli di attraversare il Dniester e di occupare la Transdniestria. Le unità romene continuarono accanto a quelle tedesche l’offensiva antisovietica attraverso il sud dell’Ucraina, arrivando, alla fine, a Stalingrad.



Il sottotenente Ahile Sari raccontava nel 1993 al Centro di Storia Orale della Radiodiffusione Romena che, al passaggio per il sud dell’Unione Sovietica, aveva visto cose terribili che superavano ogni immaginazione.



“Vidi per la prima volta un treno di deportati sovietici, che non erano prigionieri, ma famiglie deportate probabilmente in Germania. Allora entrai in contatto per la prima volta con questa vita e con la situazione drammatica in cui si trovavano queste persone disumanizzate, affamate, che tenevano le gavetta tese verso di noi pregandoci di dargli qualcosa da mangiare. Fu per me un’immagine triste, noi tutti, ufficiali e soldati, ci affrettammo verso di loro, dandogli tutto ciò che si poteva tra i fili spinati, nonostante l’abbaiare dei cani da guardia dei vagoni”, ricordava Ahile Sari.



A Stalingrad iniziò il disastro dell’esercito romeno nell’est. L’operazione Uranus dell’esercito sovietico aveva come scopo l’attacco del distaccamento settentrionale delle truppe tedesche di stanza a Stalingrad che era difeso da soldati romeni e ungheresi, meno dotati di armamento rispetto a quelli tedeschi e con il morale più basso. Con il forte sostegno degli autoblindi, il 19 novembre i sovietici attaccarono in maniera aggressiva. I romeni chiesero senza successo l’aiuto dei tedeschi. Il sottotenente Ahile Sari ricorda un episodio precedente l’attacco sovietico.



“Nel bunker di un comandante di battaglione venne portato un prigioniero russo il quale ci informò che fra un giorno o due sarebbe cominciata la grande offensiva sovietica e perciò dovevamo stare attenti e prepararci. Siamo ben attrezzati, diceva il russo, abbiamo moltissime machine da guerra. Lo riferimmo ai superiori, ma nessuno credeva che dopo uno o due mesi di combattimento, in pieno inverno, sarebbe ancora successo qualcosa. Era il 17, poi il 19 novembre 1942, alle 4 del mattino, iniziò la grande offensiva sul Don e a Stalingrad”, ricordava l-ex sottotenente.



Sul Don, l’esercito romeno perse più di 300.000 militari. Il notaio Mircea Munteanu, ricordava nel 1998 della sua partecipazione alla guerra. La sua testimonianza viene a rafforzare anche le altre secondo cui anche quando eri ferito e in teoria fuori pericolo, le sofferenze non erano ancora finite.



“Sulle rive del Don, il 29 novembre iniziò l’attacco e una cartuccia mi colpì dalla sinistra, entrandomi sotto la clavicola. Mi ritirai con i tedeschi su un carro armato. Due maggiori che mi videro sul carro, mi chiesero di venire con loro. Gli dissi che il comandante del plotone era stato ammazzato dai russi con la baionetta. Cominciarono a curare la mia ferita e arrivammo a una fattoria dove un sergente, vedendomi soffrire, mi diede qualcosa da mangiare e mi consigliò di andare verso un altro villaggio dove c’erano 16 carrozze del Regimento 16 fanteria. Ci andai, ma la ferita mi faceva molto male perché ero venuto a cavallo, attraversando il campo. C’era la neve, faceva un freddo cane e dalla ferita mi correva molto sangue. Non potevo più salire in croppa al cavallo, le mie scarpe erano ghiacciate. Alla fine arrivai in un villaggio e chiesi a una sentinella dove potevo trovare qualcuno che si prendesse cura della mia ferita. Mi indicò un veterinario e poi partimmo di nuovo con altri feriti, arrivando a circa 30 chilometri dietro il fronte. Lì c’era un ospedale, un bagno e alla fine arrivò un treno che ci portò fino in Polonia”, ricordava anche Mircea Munteanu. (trad. Gabriela Petre)

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