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L’esilio romeno nei dossier della Securitate

Per decenni, la Securitate, la famigerata polizia politica del regime comunista, rappresentò uno strumento del terrore per i romeni del Paese, ma anche per quelli allestero.

L’esilio romeno nei dossier della Securitate
L’esilio romeno nei dossier della Securitate

, 16.10.2013, 13:20

Per decenni, la Securitate, la famigerata polizia politica del regime comunista, rappresentò uno strumento del terrore per i romeni del Paese, ma anche per quelli all’estero. Nomi importanti dell’esilio romeno entrarono nel mirino della Securitate. Per annientarli o per strumentalizzarli, il regime mise in campo risorse importanti, il più delle volte sproporzionate, che alla fine ebbero successo.



Alla presentazione del volume Le talpe della Securitate” di Dinu Zamfirescu sui romeni in esilio al servizio della Securitate, lo storico Liviu Tofan ha accennato all’importanza con la quale la polizia politica li pedinava.



L’esilio romeno fu un obiettivo importante della Securitate e tra i suoi pochi successi si annoverò il suo indebolimento. La Securitate puntò al vertice ed ebbe successo in molti casi, riuscendo ad attirare dalla parte del regime di Bucarest molte personalità di spicco dell’esilio. Perché e con quali mezzi? Ci sono tre casi famosi: Virgil Veniamin, vecchio membro di spicco del Partito Nazionale dei Contadini e dell’esilio parigino, Eftimie Gherman, ex leader socialista e il grande giornalista Pamfil Şeicaru. Ma la lista è purtroppo assai lunga. Tra i più noti agenti della Securitate ricorderei lo scrittore Virgil Gheorghiu, autore di un noto romanzo dal quale fu tratto un film a Hollywood, Ion V. Emilian, che pubblicava il periodico Stindardul” a Monaco di Baviera e lavorava per i servizi di sicurezza estera, il socialdemocratico Duiliu Vinogradschi, Gustav Pordea, il primo europarlamentare di origine romena e l’industriale Iosif Constantin Drăgan”, spiega Liviu Tofan.



Da parte sua, lo storico e politologo Stelian Tănase ha accennato ai metodi utilizzati dalla Securitate per il reclutamento.



Il più delle volte c’era un misto fra l’essere comprato e l’essere pagato, perché spesso, soprattutto verso la vecchiaia, tutti avevano una situazione materiale difficile. Oppure venivano ricattati perché avevano problemi, o venivano ripagati con dei servizi: avevano parenti nel Paese che beneficiavano di agevolazioni, di soluzioni a certi problemi con le proprietà, la pensione o il passaporto. Tutti questi metodi che sembrano semplici erano utilizzati in varie combinazioni per convincere l’uno o l’altro ad accettare di collaborare con la Securitate”, dice Stelian Tănase.



I successi della polizia politica del regime comunista tra gli esiliati romeni si registrarono soprattutto a cominciare dalla metà degli anni 1960. Stelian Tănase ha spiegato il cambiamento avvenuto nella Romania comunista a cominciare dal 1964, che ha determinato la rivalutazione dei rapporti di alcuni esiliati con le autorità comuniste di Bucarest.



E’ successa anche un’altra cosa. Se guardiamo i documenti e la cronologia, notiamo che i collaborazionisti avevano ceduto alle pressioni negli anni ’60. Qual’era l’elemento apparso negli anni ’60? Fu lo stesso meccanismo che trasformò in delatori persone del tutto oneste, nell’ultimo anno di detenzione politica. Era cambiata la politica estera della Romania, Bucarest dava segni di emancipazione da Mosca, lo spazio romeno cominciava a de-sovietizzarsi. Era apparsa una corrente nazionalista-pattriotica. Molti si lasciarono ingannare da questa mossa, cosicché anche nell’Occidente si diffuse l’idea del sostegno al regime di Bucarest, perché ci diffendeva da Mosca. Devo dire che molte persone che non hanno lasciato in eredità capolavori, li hanno lasciati negli archivi della Securitate. I loro rapporti dimostrano genio e talento ritrattistico del tutto speciale”, aggiunge Stelian Tănase.



Lo storico e politologo Daniel Barbu è del parere che dagli archivi della Securitate sugli esiliati veniamo a sapere nuove cose sulla natura umana:



Veniamo a sapere chi siamo noi come persone, cose sulla natura umana, sulle debolezze e le vulnerabilità, sull’etica oscillante che ci anima, sui pretesti che invochiamo per dare un contenuto etico a fatti di poca importanza. Esiste una tecnologia propria della Securitate oppure, in senso più largo, dei servizi di questo tipo nello spazio sovietico? Esiste veramente una posta in gioco ideologica per la Securitate in queste azioni o semplicemente si tratta di un lavoro burocratico, a volte ben fatto, altre volte non tanto bene, che tutti i servizi simili fanno? Forse in un primo momento, la Securitate, come anche la Čeka, era animata da un pathos proletario. Però, dopo qualche anno, l’unica preoccupazione che animava la Securitate era di diventare un’istituzione importante e influente che controllasse quanto più strumenti, quanto più persone”, spiega Daniel Barbu.

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