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Miti e realtà sul cambiamento climatico

Studi recenti dimostrano come i combustibili fossili sono responsabili del 90% delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall'uomo, aumentano le temperature annuali, acidificano gli oceani e accelerano il rischio di estinzione delle specie.

Miti e realtà sul cambiamento climatico
Miti e realtà sul cambiamento climatico

, 28.05.2025, 20:23

Studi recenti dimostrano come i combustibili fossili sono responsabili del 90% delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’uomo, aumentano le temperature annuali, acidificano gli oceani e accelerano il rischio di estinzione delle specie. Si stima che una specie su tre scomparirà nei prossimi 50 anni se l’industria dei combustibili fossili non verrà trasformata radicalmente. Daria Hau, laureata ad Amsterdam con un master in diritto commerciale internazionale con specializzazione in cambiamenti climatici ed ex consulente presso il Ministero dell’Ambiente, afferma che il dibattito sui cambiamenti climatici è avvolto da miti.

« Ci sono almeno due miti che provengono da grandi aziende inquinanti e che non sono ancora stati completamente sfatati: il mito del riciclo della plastica e il mito della tecnologia. Molti di noi sono cresciuti con l’idea che se ricicliamo coscienziosamente, proteggiamo il pianeta. E il riciclo è importante per molti materiali, ma nel caso della plastica, in particolare, è una storia incompleta, persino fuorviante, perché in realtà la maggior parte della plastica prodotta a livello globale, oltre il 90%, non finisce affatto per essere riciclata. La maggior parte dei tipi di plastica non è fatta per essere riciclata né lo sarà mai. E questo mito funziona come una cortina fumogena. Ci fa sentire in colpa per gli imballaggi che abbiamo in casa, per ciò che acquistiamo, mentre la produzione di plastica monouso è in costante aumento. Il secondo mito è quello tecnologico, ovvero l’idea che non abbiamo bisogno di ridurre urgentemente le emissioni perché presto avremo soluzioni miracolose, come la cattura del carbonio dall’atmosfera. Il problema è che queste tecnologie sono estremamente costose e, tra l’altro, sono ampiamente finanziate da sussidi. Quindi, oltre ad essere molto costose, risultano inefficienti e marginali su scala mondiale. Sono promosse soprattutto dalle grandi compagnie petrolifere, che cercano di creare l’illusione che si possa continuare con l’estrazione di petrolio e gas, perché in seguito si riuscirà in qualche modo a ripulire le emissioni attraverso queste tecnologie. Sto addirittura parafrasando il CEO di una compagnia petrolifera, che ha dichiarato in diretta che questo tipo di tecnologia dà al settore la licenza di operare per altri 70-80 anni. Quindi, anche secondo le loro parole, l’obiettivo è questo: consentire all’industria di continuare a inquinare, con la promessa di tecnologie molto avanzate che ripuliranno tutto.”

Daria Hau sottolinea che queste soluzioni, il riciclaggio e gli sviluppi tecnologici non sono inutili e che non dovremmo investire in essi. Il problema è che vengono presentati in modo esagerato come una panacea, una soluzione universale alla crisi climatica. In realtà servono a distogliere l’attenzione da ciò che conta davvero, ovvero chiedere conto ai grandi inquinatori e adottare politiche climatiche coraggiose e sistemiche. L’esperta sostiene che un altro metodo di greenwashing (ambientalismo di facciata) utilizzato dalle aziende inquinanti è l’eccessiva enfasi posta sulla responsabilità individuale. “Slogan come ‘Il cambiamento inizia da te’ o ‘Cosa stai facendo per proteggere l’ambiente?’, che in sostanza è una buona domanda, una che dovremmo porci, ma quando sono i grandi inquinatori a porsi questa domanda per distrarci dal chiedere loro, in effetti, cosa stanno facendo esattamente, allora diventa un problema di greenwashing. L’esempio più importante per me è la compagnia petrolifera che negli anni 2000 ha lanciato il concetto di impronta di carbonio personale, insieme a un calcolatore online, che indica approssimativamente quanta anidride carbonica emetti come individuo, in realtà, per vivere, lavorare, vivere la tua vita. I risultati di questa campagna di pubbliche relazioni, perché di questo si è trattato in effetti, una campagna di pubbliche relazioni priva di qualsiasi fondamento scientifico, li sentiamo ancora oggi. Abbiamo aziende locali che hanno copiato la campagna e hanno anche promosso l’idea che siamo noi a essere responsabili, nel nostro comportamento quotidiano. Purtroppo non possiamo fermare la crisi climatica semplicemente con la raccolta differenzata o andando in bicicletta. Il vero cambiamento deve venire prima di tutto da politiche pubbliche che ci incoraggino a modellare i nostri comportamenti e, in secondo luogo, dalla riduzione delle emissioni alla fonte, cioè dove vengono generate in maniera massiccia dall’industria.”

Daria Hau ritiene che noi, in quanto cittadini comuni, non abbiamo la capacità di combattere la crisi climatica, ma che abbiamo il potere di informarci, votare e sapere cosa chiedere ai leader che dettano la direzione in cui stiamo andando. Alla domanda su quale sia la vera soluzione al problema climatico, al di là di miti e cortine fumogene, l’esperta risponde : “Penso che la prima cosa che dobbiamo fare sia essere molto chiari sulla causa. I combustibili fossili sono al centro di questa crisi che minaccia seriamente la stabilità della vita sulla Terra, in tutta la sua complessità. Ogni passaggio nella catena dei combustibili fossili genera gas serra che riscaldano il pianeta, causano milioni di morti premature, danni per migliaia di miliardi di dollari e aggravano la destabilizzazione degli ecosistemi. Quindi, se vogliamo davvero ridurre gli effetti del riscaldamento globale, dobbiamo concentrarci sulla fine della nostra dipendenza da queste fonti. Ovviamente, abbiamo bisogno di una transizione giusta per i lavoratori e le comunità che dipendono dall’energia dei combustibili fossili. Quindi dobbiamo guardare con molta attenzione a coloro che sono molto più colpiti dai combustibili fossili: bambini, donne, soprattutto nel Sud Globale. E tutto questo deve avvenire al più tardi entro il 2050, se vogliamo avere la possibilità di non andare oltre la soglia critica di 1,5 °C che, a quanto pare e come dimostrano gli studi, stiamo attualmente superando.”

Il Rapporto Paese sul clima e lo sviluppo per la Romania, condotto dalla Banca Mondiale nel 2023, ha dimostrato che la Romania ha il potenziale per triplicare il suo reddito nazionale nei prossimi 30 anni se continuerà ad adottare misure per rafforzare la resilienza climatica e ridurre le emissioni di carbonio. Nello stesso documento si specifica che la Romania è altamente vulnerabile ai rischi generati dai cambiamenti climatici, in particolare per quanto riguarda inondazioni e siccità. Il livello di anidride carbonica generato dall’economia romena è 2,5 volte superiore alla media dell’Unione Europea, e l’aumento delle temperature e l’intensificarsi delle ondate di calore rappresentano pericoli reali per la popolazione, l’economia e le infrastrutture.

sursa foto: Facebook / Salvamont Maramures
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